Mancano poco più di 40 giorni alla data delle politiche. Una quaresima che ci avvicina ad un momento decisivo per un futuro che poche volte è stato così in balia degli eventi. Un’elezione che porta con sé molte incognite e molte domande, troppe, che attendono risposte per soluzioni di medio-lungo periodo: saremo pro-Europa o staremo dalla parte degli s-fascisti? Come risponderemo alla Bce e al suo nuovo passo che, con la probabile riduzione/chiusura del Qe, sarà molto meno permissivo e più responsabilizzante verso le politiche economiche nazionali? Come ci adatteremo all’ennesima legge elettorale? Possiamo costruire un governo che goda di stabilità e credibilità presso le comunità europea e internazionale?
Scelte nevralgiche e bivi a cui saremo costretti ad affacciarci nei prossimi mesi. Naturale sarebbe pensare che in questi casi che chi ha il dovere e diritto di voto sia pronto a dire la propria sulla scheda elettorale. I sondaggi (ma anche la normale quotidianità) parlano però di un andamento inversamente proporzionale alla necessità di una scelta così importante: si prevedono dati record su un’astensione che potrebbe attestarsi intorno al 30%. Un dato allarmante per il normale proseguo di una qualunque democrazia, figurarsi per la nostra, cresciuta a pane e scandali e minacciata dall’antipolitica e dal populismo che si respira in questi ultimi tempi.
Ciò che mi preoccupa di più, sono i numeri relativi all’astensione tra chi ha tra i 18 e i 24 anni. Numeri altissimi e drammatici, che toccano addirittura il 45%.
L’analisi porterebbe a dire che ormai i giovani non si sentono coinvolti in tutto ciò che prevede l’utilizzo di matite in una cabina elettorale. Troppo “out” per chi vive tra i “trend-topic” ed i contenuti “viral”. Le schede elettorali non potranno mai sostituire le schede telefoniche, la grafite non è il touch-screen che trovo comodamente in tasca. Ed eccoci pronti a riparlare di come i giovani quasi non rispondano più ai cambiamenti che si manifestano al di fuori dagli smarthphone. Biasimano e s’indignano sui social, restano però supini (o “sdraiati” come nel libro di Michele Serra) alla prova dei fatti. Condivisibili o meno, queste sono alcune delle tesi che ascolto tra i miei coetanei e che segnano un netto solco tra loro e il mondo della politica.
In questa riflessione però non si può prescindere da un’altra considerazione: oggi i giovani si allontanano dalla politica perché non si sentono più coinvolti da essa. Un tempo i movimenti giovanili con le loro sezioni rappresentavano una parte importante di quei partiti che riconoscevano nei giovani dirigenti e tesserati (anche se spesso si trattava soltanto di mosse puramente di facciata) ruoli di vertice nelle gerarchie interne. Si respirava un’aria diversa, molto più comunitaria e fortemente partecipativa. Ci si sentiva davvero chiamati in causa. Le sezioni erano luoghi in cui incontrarsi e ritrovarsi, in un’età in cui il bisogno di condivisione di idee, linguaggi e prospettive è linfa per la crescita personale. Oggi la condivisione è solo sulle nostre bacheche Facebook, nella piena solitudine del gesto, nell’anonimato del commento dei post, nelle parole e nei pensieri lanciati dal ticchettio, sordo e inascoltato, delle tastiere Qwerty.
Fa effetto il richiamo nel discorso di fine anno del presidente Matterella, quel parallelismo con i ragazzi del ’99 che cent’anni fa combatterono sulle sponde del Piave, fagocitati dalla fame di carne e sangue della Grande Guerra. In quella drammatica situazione, una generazione di diciottenni fu chiamata a scegliere se soccombere al giogo nemico oppure se combattere per l’amor di patria e la libertà del proprio popolo. Non era prevista la diserzione, non erano previste terze scelte. “O il Piave o tutti accoppati!”.
In quell’occasione non mancò la volontà ed il coraggio. Spero che non manchino nemmeno ai nostri ragazzi del ’99 che si preparano, per la prima volta, ad una delle scelte più importanti. Una decisione assolutamente non accostabile a quella di un secolo fa, ma non per questo meno importante. Perché non bisogna astenersi dal combattere per le proprie idee. Non bisogna smettere di farlo nonostante le circostanze, nonostante i “se”, nonostante i “ma”.
Perché il futuro lo puoi, lo devi scrivere con la grafite di una matita, in una cabina elettorale ai confini del mondo. Perché il tuo futuro lo puoi decidere anche tu. Sì, proprio tu.
Edoardo Mauro
Scelte nevralgiche e bivi a cui saremo costretti ad affacciarci nei prossimi mesi. Naturale sarebbe pensare che in questi casi che chi ha il dovere e diritto di voto sia pronto a dire la propria sulla scheda elettorale. I sondaggi (ma anche la normale quotidianità) parlano però di un andamento inversamente proporzionale alla necessità di una scelta così importante: si prevedono dati record su un’astensione che potrebbe attestarsi intorno al 30%. Un dato allarmante per il normale proseguo di una qualunque democrazia, figurarsi per la nostra, cresciuta a pane e scandali e minacciata dall’antipolitica e dal populismo che si respira in questi ultimi tempi.
Ciò che mi preoccupa di più, sono i numeri relativi all’astensione tra chi ha tra i 18 e i 24 anni. Numeri altissimi e drammatici, che toccano addirittura il 45%.
L’analisi porterebbe a dire che ormai i giovani non si sentono coinvolti in tutto ciò che prevede l’utilizzo di matite in una cabina elettorale. Troppo “out” per chi vive tra i “trend-topic” ed i contenuti “viral”. Le schede elettorali non potranno mai sostituire le schede telefoniche, la grafite non è il touch-screen che trovo comodamente in tasca. Ed eccoci pronti a riparlare di come i giovani quasi non rispondano più ai cambiamenti che si manifestano al di fuori dagli smarthphone. Biasimano e s’indignano sui social, restano però supini (o “sdraiati” come nel libro di Michele Serra) alla prova dei fatti. Condivisibili o meno, queste sono alcune delle tesi che ascolto tra i miei coetanei e che segnano un netto solco tra loro e il mondo della politica.
In questa riflessione però non si può prescindere da un’altra considerazione: oggi i giovani si allontanano dalla politica perché non si sentono più coinvolti da essa. Un tempo i movimenti giovanili con le loro sezioni rappresentavano una parte importante di quei partiti che riconoscevano nei giovani dirigenti e tesserati (anche se spesso si trattava soltanto di mosse puramente di facciata) ruoli di vertice nelle gerarchie interne. Si respirava un’aria diversa, molto più comunitaria e fortemente partecipativa. Ci si sentiva davvero chiamati in causa. Le sezioni erano luoghi in cui incontrarsi e ritrovarsi, in un’età in cui il bisogno di condivisione di idee, linguaggi e prospettive è linfa per la crescita personale. Oggi la condivisione è solo sulle nostre bacheche Facebook, nella piena solitudine del gesto, nell’anonimato del commento dei post, nelle parole e nei pensieri lanciati dal ticchettio, sordo e inascoltato, delle tastiere Qwerty.
Fa effetto il richiamo nel discorso di fine anno del presidente Matterella, quel parallelismo con i ragazzi del ’99 che cent’anni fa combatterono sulle sponde del Piave, fagocitati dalla fame di carne e sangue della Grande Guerra. In quella drammatica situazione, una generazione di diciottenni fu chiamata a scegliere se soccombere al giogo nemico oppure se combattere per l’amor di patria e la libertà del proprio popolo. Non era prevista la diserzione, non erano previste terze scelte. “O il Piave o tutti accoppati!”.
In quell’occasione non mancò la volontà ed il coraggio. Spero che non manchino nemmeno ai nostri ragazzi del ’99 che si preparano, per la prima volta, ad una delle scelte più importanti. Una decisione assolutamente non accostabile a quella di un secolo fa, ma non per questo meno importante. Perché non bisogna astenersi dal combattere per le proprie idee. Non bisogna smettere di farlo nonostante le circostanze, nonostante i “se”, nonostante i “ma”.
Perché il futuro lo puoi, lo devi scrivere con la grafite di una matita, in una cabina elettorale ai confini del mondo. Perché il tuo futuro lo puoi decidere anche tu. Sì, proprio tu.
Edoardo Mauro
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