mercoledì 21 febbraio 2018

verso il 4 marzo: largo ai giovani

PRONTI,VIA! Il 4 Marzo saranno chiamati alle urne
anche i nati nel 1999 e molti nati nel 2000
Premessa. Ad essere onesto, dopo l’iniziale euforia con cui mi butto in ogni analisi, in ogni narrazione della mia carriera da pseudo-giornalista, questa idea è iniziata poco a poco a sembrarmi un immenso abbaglio. Una grande cazzata.
Forse saranno i ricordi della mia breve carriera da rappresentante d’istituto, quando nelle assemblee pregavo i miei compagni di partecipare alle discussioni del giorno. Momenti in cui io mi sentivo un imbecille, un Don Chisciotte che cercava le attenzioni dei mulini a vento. Troppe volte avevo cercato di propagare l’incendio del mio impeto giovanile tra i ragazzi della mia scuola per poi ritrovarmi, puntualmente, spento da secchiate d’acqua gelida lungo la schiena. Troppe volte avevo pensato di trovare sponda per le mie domande, per le mie voglie di ribellioni ragionate e condivise, nelle menti inebetite e piatte dei miei coetanei.
L’ombra del flop in cui si stava rilevando questa intervista si faceva sempre più nitida. Ed io avvertivo una pungente sensazione di solitudine.
A chi fare poi queste domande? Sapevo che la scelta dei miei interlocutori sarebbe stata ardua. La caccia all'intervistato era diventata una partita a “Indovina Chi?”.
Questo no. Questo nemmeno. Questo non sa neanche come si chiama.
Poi, dopo diverse telefonate e messaggi in chat, ecco i nomi. Ecco i ragazzi in cui ripongo una buona fetta della mia fiducia per un futuro migliore.
Irene Mauro, nata nel 2000, appena rientrata da un periodo di scambio interculturale di circa sei mesi in Argentina. Vincenzo Antonaci è nato nel 1999, amico d’infanzia, moderno Marco Polo, oggi rappresentante degli studenti del Liceo Scientifico di Galatina. Giovanni Forte, anche lui classe 2000, mente finemente riflessiva e troppo acuta per un ragazzo della sua età.
Tre ragazzi, tre storie completamente diverse. Tre punti di vista che ho voluto mettere a confronto, per farvi capire come la pensa chi guarda per la prima volta candidati e programmi.
A prescindere dalle diverse opinioni sulle coalizioni e i temi che ci conducono al 4 Marzo, sono contento di aver trovato un dibattito dove immaginavo di non trovarlo. Sono sollevato che tra le generazioni del Grande Fratello e l’Isola dei Famosi, qualcuno è ancora vivo. Qualcuno combatte tra le lande desolate delle Instagram Stories, dove chi s’interessa e s’informa (o addirittura legge) viene messo al rogo, bruciato vivo sull'altare della costante indifferenza di tutto ciò che tangibilmente ci circonda.
Tiro un sospiro di sollievo: la notte in cui tutte le vacche saranno nere dovrà ancora attendere.
Sono arrivato a mettere il punto finale di questa introduzione. “Inizia la commedia, che parlino gli attori”.
Ho smarrito la mia sensazione di solitudine. I am not alone.

Slogan, frasi fatte, metafore. Che idea vi siete fatti su questa campagna elettorale?
IRENE: Tra i litigi, le urla e gli scandali che si son venuti a creare in questa campagna elettorale mi viene in mente una terzina di Dante Alighieri del Sesto Canto del Purgatorio, che si può attualizzare tranquillamente a ciò che è diventata l’Italia oggi, sempre secondo il modesto parere di un’ignorante, ovvero la sottoscritta:
“Ahi serva Italia, di dolore ostello,
nave senza nocchiere in gran tempesta,
non donna di province, ma bordello!”
GIOVANNI: “Tra bufale e sparate questa è la campagna elettorale più sgangherata di sempre”. Così Emma Bonino, leader di +Europa, ha definito la campagna che fra due settimane volgerà al temine. È mia convinzione che questa affermazione non sia del tutto veritiera in quanto, slogan e frasi fatte a parte, molte sono le proposte presentate nei differenti programmi elettorali, delle quali tutto si può dire fuorché pecchino di ambizione. Sono convinto e fiducioso che parte delle soluzioni proposte dai partiti possano rappresentare una base solida da cui il prossimo governo, che sia di centrodestra o di larghe intese, possa partire, ponendosi l’obiettivo di far ripartire l’economia, già in timida ripresa come testimonia l’aumento dell’1,4% del PIL rispetto all’anno precedente.
VINCENZO: Ritengo che in campagna elettorale, che sia essa su scala nazionale o che riguardi un semplice comune, regni il motto ‘’tutto è lecito’’. Premesso ciò, sono dell’idea che tante delle prese di posizione o delle promesse, sia a destra che a sinistra, per le quali tutti i candidati sembrano battersi con la tenacia di un leone, non verranno rispettate, o peggio dimenticate in nome della convenienza personale, come del resto abbiamo tristemente constatato nel tempo.
Passando dal verde delle valli padane al blu che sa tanto di “Make Italia Great Again”, la Lega oggi si presenta come una forza rinnovata, pronta a fare il grande salto. E tutto grazie a Matteo Salvini, che gioca nel ruolo di punta di sfondamento in questa coalizione di centro-destra. Cosa ne pensate di questo radicale cambiamento ? Saranno davvero capaci di rompere i ponti con il proprio passato, per diventare una forza sovranista e di respiro nazionale?
IRENE: Ritengo Salvini un bravo “politicante”: sa convincere con le parole, espone bene le sue idee, quasi facendo dimenticare ai meridionali ciò che è stato detto. Andando a vedere bene il ruolo di Salvini in passato, però, non si è più così convinti: ci basta pensare che Salvini è un europarlamentare dal 2013, a Bruxelles ridicolizzò l’Italia dopo esser stato ripreso davanti a tutto il Parlamento Europeo da parte del collega belga Marc Tarabella che lo accusò di assenteismo continuo. Il suo programma? Convince gli italiani, questo è certo: non mettere l’obbligo sui vaccini, la questione immigrati mai risolta, abolizione della Legge Fornero, occupazione giovanile. Sono temi cardine nelle vite degli italiani. Ma si manterranno queste promesse? Oppure si parla della vecchia e solita “aria fritta” a cui gli italiani sono ormai abituati?  Con la nuova Lega, Salvini punta ad una “naziolizzazione” del partito. Non so se sia così facile convincere il meridionale che ha dovuto sopportare e tacere a insulti, derisioni e chi più ne ha più ne metta. Fine 2012, Salvini dichiarava che l’Euro non era meritato dal Sud, paragonandolo alla Grecia, mentre Milano, Lombardia e Nord erano più che meritevoli di questa moneta. Il Sud dimentica? Non credo.
GIOVANNI: La “Lega” di Matteo Salvini è un partito politico molto diverso da quello ideato dal fondatore Umberto Bossi. La prima differenza la si nota nel simbolo, depurato della parola “Nord” il leader del carroccio si pone come obiettivo quello di far breccia negli elettori del centro-sud; basterà a far dimenticare a noi meridionali i cartelli affissi all’ingresso dei locali del nord Italia con la scritta “vietato l’ingresso ai cani e ai terroni”? Probabilmente no; anche se molti diranno che i legami con la “vecchia Lega” sono stati del tutto sciolti. Vero. Però della vecchia Lega si è smarrito anche l’antifascismo, quello ostentato da Bossi che gridava “mai con i fascisti, mai con i nipoti dei fascisti!”. Oggi Salvini non farebbe le stesse dichiarazioni. Tuttavia di questo non ne risentono i sondaggi che prospettano una Lega al 14%; dato di gran lunga superiore al 4% ottenuto dalla Lega scissionista di Bossi. Questa Lega tra passato e futuro, scissione e “Salvini Premier”, spera di far parte di un governo di centrodestra con un ruolo da protagonista; a rovinare i piani del segretario e aspirante Primo Ministro sembra esserci solo lo spetto delle larghe intese.
VINCENZO: Non credo che La lega riuscirà in tempi brevi ad assumere una connotazione diversa da quella attuale (che ha poco di ‘’nazionale’’) e non affiderei mai il destino del Paese nelle mani di Matteo Salvini.
Silvio Berlusconi annuncia un condono “di necessità” ma Salvini e la Meloni si dichiarano contrari. Salvini: “Vaccini Si, obbligo No”, ma Forza Italia fa sapere che con loro al governo l’obbligatorietà ci sarà. La manifestazione “anti-inciucio” organizzata a Roma da Giorgia Meloni a cui né Berlusconi né Salvini hanno partecipato. Molte sono le posizioni, le situazioni e i presagi che ci presentano una non assoluta coesione di visioni tra i partiti del centrodestra. La firma che i leader di questa coalizione hanno apposto sul programma comune, sarà in grado di garantire, in caso di vittoria, l’unione di intenti nel post-elettorale?
IRENE: La prova dell’anti-inciucio organizzata da Giorgia Meloni non è andata a buon fine. Lei accusa i suoi compagni di viaggio, i due “capitani coraggiosi”, forse indifferenti alla sua voglia di provare agli italiani la loro “fedeltà”. Berlusconi dichiara l’iniziativa della collega “dannosa” e questo mi porta a pensare che non ci sia nulla di concordato in tutto ciò. E se fosse lo stesso per i programmi firmati dall’Armata Brancaleone, da italiana m’inizierei a preoccupare della credibilità che assumono i tre in questa campagna elettorale.
GIOVANNI: Il tema delle alleanze post voto è già di per sé complesso, se ci si aggiunge l’incertezza di queste elezioni, che si decideranno a suon di collegio nel nostro Sud, stabilire con certezza cosa accadrà dopo il 4 Marzo è un’impresa ardua. È mia convinzione che se dovesse esserci una sola maggioranza possibile, quella di centrodestra, in ambedue le camere allora si procederà alla formazione di un governo FI-LN-FDI più la cosiddetta “quarta gamba”. Se invece la formazione di centrodestra non dovesse sfondare il 40% si aprirebbe lo scenario delle larghe intese. Una possibile maggioranza potrebbe essere composta da FI, esponenti della lega maroniana, il quarto polo del centrodestra, e non è da escludere qualche ex-cinque stelle travolto da Rimborsopoli che a dimettersi da parlamentare non ci pensa affatto.
VINCENZO: Sono quasi certo che i patti stipulati non saranno vincolanti qualora uno dei partiti della coalizione salisse al governo, considerato che in Parlamento le coalizioni cambiano settimanalmente.
Il caso dei rimborsi non effettuati da parte di alcuni membri del Movimento Cinque Stelle: una situazione che destabilizzerà il quadro dei sondaggi a due settimane dal voto, oppure nulla cambierà ormai l’idea che gli italiani si sono fatti sugli ex-grillini?
IRENE: Sicuramente questa vicenda dei rimborsi ha rallentato la corsa del M5S, ciò non toglie che la metà dello stipendio non versata da parte degli alleati di Di Maio, non è così grave da far scalpore quanto l’italiano abituato a vedere un condannato in via definitiva per frode fiscale che ancora fa aleggiare la sua ombra tra i banchi del governo.
GIOVANNI: Allo scandalo Rimborsopoli che ha travolto i Cinque Stelle sono state date due possibile letture. La prima: lo scandalo ha messo fine al mito dell’onesta del partito di Grillo e gli elettori stanno iniziando ad aprire gli occhi, rendendosi conto di chi sono realmente i componenti della classe dirigente del Movimento. Questa lettura è, però, solo in parte supportata dai sondaggi che hanno registrato una lieve flessione dello 0,3%. La seconda: gli elettori del M5S hanno una voglia di cambiamento che non è stata intaccata da un’inchiesta delle Iene che, peraltro, ha visto coinvolta una piccola minoranza dei parlamentari grillini. La lettura che propongo io non coincide con le due sopra riportate. Questa vicenda ha piantato il seme del dubbio sulla purezza grillina negli elettori che, tuttavia, sono ancora convinti e motivati a crociare il simbolo del Movimento il 4 di Marzo. In aggiunta molti cittadini che sono ancora indecisi sulla scelta da compiere sono venuti a conoscenza di questa iniziativa di parlamentari e amministratori M5S che hanno messo a disposizione della comunità oltre 20 milioni di euro. Questo è stato fortemente apprezzato (malgrado i “furbetti”). Quindi sebbene ci sia stata una lieve flessione dei sondaggi (che è nei margini dell’errore statistico) e vista anche l’immediata presa di posizione di Di Maio, la vicenda potrebbe da qui al election-day giovare al Movimento. C’è da sottolineare che questa riflessione riguarda esclusivamente gli indecisi, poiché chi già non vedeva di buon occhio i cinque stelle ha avvalorato la propria convinzione che il “Partito di Grillo” sia inadatto a governare.
VINCENZO: Il caso dei mancati rimborsi non avrà rilevanza sul voto degli italiani. Si tratta solo di una manipolazione dei fatti reali: dati alla mano, gli ex-grillini sono gli unici ad aver effettuato tagli considerevoli ai propri stipendi, ma paradossalmente gli otto parlamentari che non lo hanno effettivamente fatto sono il pretesto per un attacco politico e mediatico massiccio. Ma i parlamentari leghisti, di Forza Italia o del PD quali tagli hanno mai accettato?
Il Movimento Cinque Stelle in questa competizione elettorale risultano l’unica forza che ancora non sì è mai trovata dalla parte della maggioranza in alcuna legislatura. Questo aspetto li condizionerà in positivo, rendendoli il vero cambiamento oggi in Italia? Siete d’accordo con la loro vecchia proposta di aprire il voto ai sedicenni?
IRENE: La credibilità dei Cinque Stelle è basata soprattutto sul fatto delle cosiddette “facce nuove” e proprio per questo alcuni italiani si sentono di dare un’opportunità a coloro che non hanno mai avuto l’occasione di dimostrare le loro capacità. Il voto ai sedicenni è un’idea, a mio parere, avventata: un attuale diciottenne non sa chi, cosa e come votare. Figuriamoci un sedicenne. Non ritengo i sedicenni attuali capaci di schierarsi a livello politico.
GIOVANNI: E’ indubitabile che il non aver mai governato è l’” ingrediente segreto” dei Cinque Stelle, anche se questo spaventa molti moderati che è improbabile si affidino all’incognita M5S (alla luce anche dei disastri di Roma e, in parte, Torino). Voto a 16 anni? No. Personalmente ritengo che la soglia andrebbe semmai alzata, poiché già a 18 anni molti ragazzi arrivano al voto così sprovveduti da non sapere nemmeno per cosa stanno votando; figuriamoci a 16.
VINCENZO: Credo che gli ex-grillini, poiché forza politica neonata, meritino di avere il loro posto in maggioranza per dare prova della loro validità o per rivelarsi inadatti al governo. Sulla proposta di allargare il voto ai sedicenni avrei qualche perplessità, anche se votare a 16 anni potrebbe significare avvicinarsi alla vita politica in età più giovanile, cosa che all’Italia servirebbe.
La notte del 27 Gennaio, Matteo Renzi decide di candidare nei 200 collegi a disposizione ben 160 suoi fedelissimi. Stop alle trattative con alla minoranza, a cui rimangono ora solo le briciole. Una strategia improntata sulla scelta dei migliori cavalli per una corsa che si preannuncia difficile oppure il Pd si è trasformato definitivamente nel Pdr, il Partito di Renzi?
IRENE: Dopo due anni da Presidente del Consiglio, dal quale si è anche dimesso, l’ultima strategia da giocare è proprio questa: creare il PDR. Ovviamente, si schiera con i suoi fedelissimi, con la certezza che i tradimenti
saranno ben pochi. Rottama il suo Partito Democratico scegliendo lui stesso i suoi compagni di squadra, umiliando così la minoranza inesistente.
GIOVANNI: Il PD rimane il Partito Democratico giustamente guidato dal segretario che nelle primarie ha ottenuto il 69,2% dei consensi. Matteo Renzi è stato aspramente criticato per aver candidato i suoi “fedelissimi”; non viene però ricordato che lo stesso trattamento era stato riservato in seguito alla composizione delle liste per le elezioni del 2013 a Pierluigi Bersani, che oggi è in prima linea dell’attaccare l’ex-premier. Ultima riflessione sul tema. Vi propongo un dato: 566 cambi di casacca nella scorsa legislatura. Siamo ancora convinti che candidare i fedelissimi sia una scelta così sbagliata?
VINCENZO: Senza prendere posizione su pregi o difetti, credo che il PD, come forza politica di sinistra, sia morto con Bersani. Renzi, degno erede di Berlusconi, ha da subito centralizzato il partito sulla sua persona, trasformandolo in un partito personale, quindi sarebbe appropriato cominciare a chiamarlo PDR.
Secondo i dati forniti dal Ministero degli Interni, il numero di immigrati sbarcati nel 2017 è pari a 119.369. Un numero in calo rispetto agli anni passati, ma che comunque porta a riflettere. Le soluzioni proposte dalle varie forze politiche per questo angoscioso tema sono diverse. Voi cosa proporreste al prossimo Minniti?
IRENE: Prima di tutto proporrei un controllo maggiore su chi arriva, indipendentemente se clandestinamente o meno: controlli sanitari, vaccinazioni, documenti d’identità e soprattutto sul perché si sta entrando nel nostro Paese e su cosa si ha intenzione di fare, anche chiedendo il sostegno della UE, se necessario. Controllare anche dopo l’arrivo del richiedente d’asilo: è bene anche che queste persone vengano inserite nel mondo del lavoro. Personalmente, per dover stare sei mesi in Argentina, non clandestinamente, per puro studio, ho dovuto fare vaccinazioni, colloqui, documentazioni certificate e tradotte, tutto ciò solo per sei mesi da studente. Inoltre, aumenterei i rapporti con i paesi maggiormente in crisi per capire cosa spinge queste persone ad emigrare verso i nostri territori.
GIOVANNI: Con buone probabilità il prossimo Minniti sarà Marco Minniti stesso, che potrebbe rientrare tra i ministri di un governo di larghe intese. Tuttavia, se il prossimo Ministro dell’Interno dovesse cambiare (si vocifera Salvini) al prossimo inquilino di Palazzo del Viminale mi sento di proporre di proseguire la strada intrapresa da Minniti che ha dato buoni risultati.
VINCENZO: Proporrei di agire alla radice, in comune accordo con l’Europa, riportando ordine politico e sociale in Paesi devastati come Libia e Nigeria. Sarebbe una campagna dispendiosa e difficile, ma risolverebbe definitivamente il problema dei flussi migratori.
In questo dibattito elettorale, il tema pensioni è stato discusso ampiamente. Quello dell’occupazione un po’meno. Alberto Brambilla sull’ “L’Economia del Corriere della Sera” del 22 Gennaio, parlava di come oggi il problema non stia nei costi delle spese assistenziali ma, invece, bisognerebbe guardare sui livelli di occupazione e produttività che non cresceranno nei prossimi anni. Risultato: rapporto spesa pensionistica/PIL insostenibile nei prossimi anni. Non sarebbe il caso di porre nelle discussioni elettorali, i temi “pensioni” e “occupazione” (soprattutto giovanile) sullo stesso piano?
IRENE: “Occupazione giovanile” e “pensioni” sono due argomenti che vanno di pari passo. Dopo la legge Fornero se un adulto che lavora dall’età di 19 anni, può andare in pensione a 67, con 48 anni di contributi, non lascia spazio al neo-laureato di 25 anni; lascia spazio al quarantenne che se ne andrà in pensione con 20 anni di contributi e una misera pensione. Il perché è facile da intuire: se aumento l’età pensionabile, non permetto ai giovani di entrare nel mondo del lavoro alla fine degli studi, bensì dopo vent’anni. Ciò comporta che invece di garantire mille euro, garantisce appena i cinquecento, con un risparmio notevole a livello di costo monetario.
GIOVANNI: “Pensioni” e “occupazione giovanile” sono due temi delicatissimi sui quali rispettivamente pensionati e giovani vogliono sentirsi rassicurati. A questa necessità rispondono pronti i politici che prospettano soluzioni semplici per risolvere problemi complessi. Ovviamente problemi complessi non possono avere soluzioni semplici che se venissero attuate risulterebbero insostenibili.
VINCENZO: Il motivo per cui il problema pensioni è più affrontato del problema dell’occupazione giovanile sta nel fatto che gli elettori sopra i 65 anni sono largamente di più degli elettori tra i 18 e i 25 anni. In un Paese ‘’vecchio’’ in campagna elettorale si punta sulle pensioni.
Parlando con ragazzi che oggi vivono nell’ ”esule provincia” di Vittorio Bodini, sentite la necessità di fuggire da questa terra, come i tanti “cervelli in fuga”, per trovare condizioni con cui ambire a un futuro migliore? Se sì, si potrebbe sperare in un ritorno?
IRENE: Il mio patriottismo cade nel momento in cui non mi danno la possibilità di realizzarmi a livello lavorativo e di garantirmi una vita dignitosa. Non vedo nell’Italia, come negli altri Paesi, la fiducia che si ripone nei giovani che hanno studiato e hanno voglia di lavorare e di fare. Nel caso venga, un giorno, valorizzata come si deve la mia terra, tornerei senza pensarci due volte.
GIOVANNI: Personalmente non sento questa necessità. Sono molto legato alla mia Nazione, al mio Salento e alla mia città, Galatina. Andare all’estero per molti rappresenta la possibilità di avere un futuro migliore. Io un futuro migliore, un futuro in cui credere, lo vorrei per me, ma soprattutto per la mia terra.
VINCENZO: Attualmente vedo il mio futuro all’estero, ma non so se la vita mi concederà un giorno di ritornare in Italia per cambiare le cose, per quanto mi piacerebbe. In linea di massima credo che, pur vivendo in un altro paese, l’importante sia non dimenticare mai le proprie origini, perché l’identità personale è la nostra più grande risorsa.
Date tre aggettivi sull’Italia del futuro.
IRENE: Ambiziosa, inesauribile e, se tutto andasse bene, anche un po’ miracolata!
GIOVANNI: I primi tre aggettivi che mi vengono in mente pensando al futuro italiano che ci aspetta sono impegnativo, imprevedibile, migliore.
VINCENZO: Cosciente, unita, evoluta
Edoardo Mauro

lunedì 12 febbraio 2018

sul senso del mio non-10febbraio

Il Sedile di Lecce illuminato per
il Giorno del Ricordo
“lu boia diventa vittima puru dopu menzura
ma la vittima diventa boia se nu tene cultura”

Ho lasciato che il 10 febbraio passasse senza partecipare ad alcuna iniziativa per il giorno del ricordo per le vittime delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata, così come in silenzio sono restato il giorno prima, il 9 febbraio, ricorrenza della morte dell’ultimo ragazzo del fronte della gioventù ucciso dalla violenza politica (1) nel 1983, Paolo Di Nella, al quale era intitolato il circolo di Galatina di Azione Giovani. E la scelta di “ignorare” i due momenti avviene proprio quest’anno che da amministratore avrei potuto dare maggiore visibilità e coinvolgimento.
E tuttavia nei giorni precedenti la ricorrenza del 10 febbraio, mentre tutti gli altri gruppi di Andare Oltre nella provincia si preparavano ad organizzare iniziative adeguate, e a cavallo del 27 gennaio (giornata della memoria), c’è stata una riflessione sullo svolgimento di queste manifestazioni e sulla loro natura parziale, nel senso di essere portatrici insieme alla commemorazione delle vittime in questione, inevitabilmente, una lettura di parte. Intendiamoci, non sono contrario a queste iniziative. Più se ne parla e meglio è. E nel corso degli anni di impegno politico ho più volte organizzato eventi, incontri, dibattiti, sondaggi e pubblicazioni sulla questione nel tentativo di restituire alla memoria collettiva alcune pagine di storia strappate per convenienza e per non aderenza al racconto “ufficiale” come appunto quella sulle foibe o come quella sulle vittime meridionali del processo di unificazione nazionale (vittime recentemente riconosciute da una legge regionale).
Ma, bisogna ammetterlo, non siamo riusciti ad andare oltre. Non siamo riusciti a trasformare una lettura di parte in una storia condivisa che prenda le distanze non da questo o da quell’episodio singolo (e chi non prenderebbe le distanze quando farlo coincide anche con l’addossare ad un “nemico” politico alcune gravi e indubbie responsabilità?) ma da un metodo, quello della violenza come strumento di lotta politica. Ecco, un articolo della nostra costituzione recita (vado più o meno a memoria) “l’Italia ripudia la guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali”. Ora, tralasciando quando ci si attenga a questo articolo, per analogia dovremmo prendere le distanze dalla violenza come strumento di lotta politica. E per farlo, il passaggio necessario che si dovrebbe compiere è che ognuno riconosca i propri errori, non celebri le proprie vittime addossando colpe agli altri.
Un rinchiudersi e celebrare i “propri morti” come compensazione per le celebrazioni dei “morti altrui” compiuta dagli avversari politici non ha senso. Certo che i morti vanno ricordati. Ma se li si ricorda per poi perpetrare gli stessi metodi su altri popoli (come ad esempio accade in Palestina dove “la vittima diventa boia”) non ha senso. Ricordarne solo alcuni ed ergere il loro ricordo a monito per l’umanità mentre di altri si è volontariamente fatta perdere traccia è di per sé stessa una discriminazione: è ammettere che ci sono popoli, individui, gruppi politici sui quali è ammessa la violenza e altri su cui non è ammessa. E’, in altre parole, la logica perversa dell’uccidere un fascista non è reato. A condannare l’esecutore materiale di un omicidio o di una violenza specifica ci deve pensare la magistratura (quando lo fa, ma questo è un altro discorso). Sta invece alla politica costruire altri metodi di lotta e di confronto e di dialogo tra le parti ed espellere, ognuno dal proprio campo, atteggiamenti violenti e discriminatori.
Ora, cosa centri questo non la ricorrenza delle foibe? Non lo so. E’ stato uno spunto per mettere in fila un ragionamento che nei giorni scorsi ho fatto con alcuni amici di tutt’altro orientamento politico con i quali mi trovo a collaborare e a dialogare per la crescita della cultura legalitaria a Galatina e che hanno dimostrato a differenza di molti altri della loro parte di essere portati all’ascolto e al confronto. E allora è da qui che bisogna partire, non dalle letture di parte. Ogni uomo ucciso per affermare delle idee politiche è un genocidio. Se riconosciamo questo, se riconosciamo che tutti i morti politici hanno la stessa dignità, allora potremo andare oltre il qui e ora e costruire quel metodo politico che permetterà, magari un giorno, di celebrare insieme ad esempio, a parti invertite, partigiani e repubblicani di Salò in un ipotetico 25 aprile prossimo venturo. Altrimenti, ad ogni celebrazione di parte sentiremo crescere l’odio nei confronti di un ipotetico nemico. Nemico che spesso esiste solo nella nostra testa o che ci serve per continuare a perpetuare divisioni di parte che ci permettano di sentirci moralmente superiori.

(1) Paolo Di Nella era un ragazzo del Fronte della Gioventù di Roma che venne aggredito alle spalle da esponenti di centri sociali mentre affiggeva manifesti per l’istituzione di un’area verde in una zona abbandonata e degradata del suo quartiere e che morì in seguito alle ferite riportate dopo diversi giorni di coma durante i quali ricevette, tra le altre, anche la visita dell'allora presidente della repubblica Sandro Pertini. Uso volontariamente l’espressione “violenza politica” e non quello di “violenza comunista” non perché non si conoscano i colpevoli (anche se mai condannati) ma perché ciò che conta è che si prenda le distanze da quel clima di violenza e da quel metodo di lotta politica, da qualunque parta provenga, anche dalla propria.

Ps. Finisco di scrivere il post, lo rileggo, lo correggo. Apro fb e leggo del coro “ma che belle son le foibe da Trieste in giù” che avrebbero intonato alcuni idioti nel corso del corteo anti-fascista di Macerata. Ecco un esempio di una manifestazione di parte che porta a individuare un nemico che non esiste, ad addossare colpe, ad inneggiare a crimini contro innocenti purché vagamente accusati di essere simpatizzanti per quel nemico. Forse, piuttosto che usarli così i morti, faremmo meglio a dimenticarli tutti. Indistintamente.
Pierantonio De Matteis