lunedì 4 dicembre 2017

ascoltare il territorio significa crescere

Raccontare il lento declino che sta spingendo la democrazia partitocratica verso un probabile tracollo non sarebbe una novità. E nemmeno un’illazione, una considerazione non supportata da numeri: i dati di un sondaggio Demos per La Repubblica del dicembre 2016 dicono che l’indice di fiducia degli italiani nei partiti risulta quello più basso tra le istituzioni. 
I numeri sono lo specchio fedele dell’attuale situazione. Oggi difficilmente ci si sente rappresentati perché i partiti hanno tracciato uno solco profondo tra noi e loro, una voragine riempita da soldi illecitamente intascati, giochi di potere e gravi sordità degli elettorati. Si è perso quel senso di appartenenza che legava sogni, speranze e idee ad un progetto politico, tutto dissolto nelle logiche incomprensibili di una politica che chiede tanto per restituire poco. Manca la voglia di sentirsi parte di comunità, essere parte attiva di un tutto. Ci si vede costretti ad adagiarsi nella solitudine delle tastiere, sempre più monadi in un universo social.
C’è un aspetto di questa faccenda che va assolutamente considerato. Un risvolto molto più pericoloso che ci deve condurre ad analisi. Questo grande scollamento della società civile dal mondo delle istituzioni ha causato una crisi della leadership nazionale con conseguente assenza di classi politiche preparate: in uno scenario del genere, chi ha competenze aspetterà prima di mettersi a disposizione di chi maneggia nel fango, chi ha capacità ci penserà due volte prima di “sposare” progetti politici sempre più lontani da ciò che li circonda.
L’attuale vuoto di vertice nei partiti nazionali (il più grave problema politico della seconda repubblica) è frutto di questa serie di concatenamenti. E sbagliamo a rifugiarci nelle risposte semplicistiche e affrettate (se volete “populiste”) di chi si immola per la causa, ma lo fa senza cognizione alcuna.
Cosa fare allora? Come sopperire a queste mancanze?
Chi vi scrive una risposta non ce l’ha. Ma un’idea da dove si potrebbe iniziare a cercarla forse si.
Ritornando al sondaggio Demos, si nota come la partecipazione nel sociale sia il modello partecipativo più utilizzato dagli italiani. Ciò vuol dire che viviamo sempre più le associazioni di categoria, civiche, culturali, sportive, di volontariato. Luoghi ristretti, più semplici, ma non per questo inutili. Si tratta di situazioni dove è più facile ritrovarsi con progetti simili, momenti in cui ci si sente più solidali nelle circostanze. Un mondo genuino che spesso non va oltre le realtà comunali o provinciali. Dove i problemi che si affrontano sono reali, urgenti, nati dal quotidiano. Dove oggi sopravvive il profumo della politica, quella vera e spesso verace.
In queste realtà, dove rivive oggi la comunità e ci si esprime a gran voce, è racchiusa la chiave della ripartenza. È nel movimentismo, nelle amministrazioni comunali fatte da cittadini che sopravvive quella cultura del dibattito, ove tesi e antitesi si ritrovano in una sintesi attuabile, chiara e sincera.
Se si cerca una soluzione alla crisi delle leadership di partito, se ci si chiede da dove ricominciare a seminare per poter un giorno raccogliere una classe dirigente pronta ad ascoltare, il mio consiglio è di guardare qui. Tra chi vive e respira ciò che lo circonda, lontano dalle logiche del “con chi ti schieri?”. Vicino all'elettore che conosce.
Far crescere per poter crescere. Ascoltare il territorio e il civico per sedimentare nuove proposte, per allontanare l’ingiustizia dei nominati, per insediare nelle istituzioni un nuovo ricambio. Se giovane, ancora meglio.
Edoardo Mauro

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