Se negli ultimi tempi i sistemi elettorali hanno toccato punti elevati di tecnicismo come se il singolo elettore fosse una macchina priva di qualsiasi pensiero, è dovere ora come mai di riscoprire e porre prepotentemente in primo piano i principi fondamentali che sono alla base dello Stato di diritto, primo tra tutti il diritto al voto. Risulta così necessario intervenire sia sul versante sostanziale, dotando gli elettori del necessario patrimonio di conoscenze tecniche e politiche, sia su quello procedurale, per non arrivare a produrre una sostanziale prefigurazione dei risultati declassando in tal modo il peso del voto di ogni singolo elettore. Ad una situazione di stallo e difficoltà del sistema elettorale dovrebbe corrispondere un’azione rapida, decisa e concorde dei rappresentanti dei cittadini in direzione di una riforma della legge elettorale. Di fatto, invece, nel nostro Paese la “rivoluzione” non parte dalle aule del Parlamento,ma tutto ha inizio con un intervento giurisdizionale, la storica sentenza n. 1 del 2014 della Corte costituzionale, con cui si mette un punto definitivo sull’illegittimità della legge elettorale n. 270 del 2005, il cd. "Porcellum". Tra l’altro, la Consulta, come una guida materna e responsabile, mette in risalto gli errori della legge elettorale sui quali non ricadere, lasciando legittimamente all’organo competente l’azione legislativa. Non può comunque non lasciarci indifferenti l’inerzia del Parlamento di fronte al dovere di stabilire le “regole del gioco” che consentono la sua stessa formazione: mancano valori, principi, senso di responsabilità che possano attribuire in maniera effettiva il titolo di “onorevole”, “degno di onore”, a chi occupa quei seggi in Parlamento. Sono solo rappresentanti di partito, legati alla sedia, al potere, al denaro; si ritrovano in un sistema dove ormai un ideale vale niente di fronte ad un assiduo e continuo sostegno al leader politico di riferimento, senza possibilità alcuna di replica né tantomeno di tentativo di esposizione di un pensiero diverso da ciò che proviene dall’alto. Il rischio che si corre è sempre lo stesso: l’ “esilio”politico.
L’attuale sistema elettorale, come quelli precedenti, priva ciascun elettore della possibilità di esprimere la propria preferenza su un candidato piuttosto che un altro, attribuendo tale potere esclusivamente ai singoli partiti. Sarà, infatti, l’oligarchia del partito a decidere, sulla base di criteri anonimi, i nomi da indicare in un’apposita lista e che andranno a sedere in Parlamento in base ai voti raggiunti nella tornata elettorale. Ergo, l’unico modo, o forse quello più facile e diretto, per varcare la soglia del Parlamento è non inimicarsi il leader del partito di riferimento, acconsentendo sempre alle sue parole e ai suoi progetti. Non esiste una legge elettorale errata, né una perfetta in tutti i suoi elementi. Si tratta di un delicato e bilanciato gioco di meccanismi da incastrare nel contesto storico – politico – istituzionale e culturale di un Paese, che cambia sicuramente nel corso degli anni. E’ questo l’incipit di un corretto procedimento di formazione della legge elettorale: si analizza la struttura portante della società, sono individuati esigenze e principi fondanti, si adottano sistemi più conformi possibili.
Lo studio tecnico e la ricerca di possibili soluzioni sono lunghi e dispendiosi, ma è fondamentale continuare a credere nel valore giuridico e nel peso morale dei diritti fondamentali. E in tal caso, il mio diritto al voto non merita alcuna forma di indifferenza.
Il sistema elettorale nel ventennio del tentato bipolarismo. Prima e dopo la sentenza n. 1/14 della Corte costituzionale.
Cristina Dettu'
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