Flavia Perina, Le lupe, Baldini&Castoldi, 2016 |
John
King, geniale scrittore della chemical generation, autore tra le altre cose della
trilogia sul calcio (fedeli alla tribù,
cacciatori di tese e fuori casa), fa dire ad uno suo
protagonista che "gli sbirri non sono che una tifoseria come le
altre, con l'unica differenza che non pagano mai per ciò che
fanno" (la citazione è più o meno a memoria). Ecco, è come se
in Flaminia, la protagonista del romanzo di Flavia Perina, questo concetto fosse non solo ben stampato
in testa ma anche digerito per bene dal non farle mai, in nessun
momento, passare per la testa il fidiamoci-della-giustizia. È finita
troppo chiaro a Flaminia che sono troppi i Gabriele Sandri, gli Stefano
Androvaldi, gli Stefano Cucchi in questo paese per poter anche solo
sospettare che questa volta possa andare diversamente. Ma il suo merito
più grande è quello di dirlo fuori dai denti, senza finti moralismi, senza
preoccuparsi della forma; “vedo il ritratto mostruoso di un inconsapevole,
lontano mille miglia da ogni senso di colpa. E' un cretino qualsiasi. Se
facesse il bidello, o l'autista, o il manovale, sarebbe
ugualmente bovino, e però non dormirebbe da tre notti, come me, nel
terrore di sentire bussare alla porta. Ma fa il poliziotto, è lui quello
che bussa alla porta, quindi può risparmiarsi anche l'insonnia ed è per
questo che alla fine mi gira la testa. L'impotenza che provo mi
fa pulsare le tempie come un tamburo.”
E poi
c'è la poesia di un mondo che fa quadrato, che anche dopo anni di
lontananza al primo sguardo, senza nemmeno bisogno di parole, sa
perfettamente cosa può fare e lo fa, un mondo lontano nel tempo, un
mondo che forse ognuno di noi vorrebbe avere come ultima risorsa sulla
quale poter sempre contare. Un mondo diverso e distante da "ciò che
con la vita si diventa" ma che più della realtà quotidiana
ti conosce e ti soccorre. Un mondo umano e politico che viene descritto con una
lucidità fuori da quella retorica che in questi anni ci ha ammorbato; “erano
persone finite quasi per caso nel recinto sempre più stretto della destra, dove
convivevano per necessità di sopravvivenza tribù improbabili ed assolutamente
incompatibili: i matti di Civiltà Cattolica che menavano col crocefisso e i
pagani che sacrificavano galli neri al Solstizio d’Inverno, i seguaci del culto
di Mitra e quelli di monsignor Lefevre, orientalisti e futuristi, punk e
cover-band beatlesiane, Evoliani e Gentiliani, ecologisti e operaisti,
steineriani e monarchici, che una volta saltata la riserva indiana sarebbero
finiti a pascolare ciascuno per conto suo senza rimpianti.”
Le lupe,
il romanzo edito da Baldini&Castoldi, è anche questo. E’ la storia di un’ingiustizia
e della reazione di una madre che non si rassegna a vedere le cose andare come
devono andare. Ma quello che più ferisce è che la storia dell’ingiustizia e
della dinamica degli eventi è assolutamente credibile e compatibile con la
realtà che viviamo. Il pugno nello stomaco lo senti arrivare dritto e preciso
quando capisci che sì, è già successo, non è solo una storia romanzata, è così
che vanno le cose. Ed il romanzo forse è il mezzo di denuncia sociale più forte
a disposizione, più forte dell’inchiesta giornalistica, del servizio in prima
serata, dell’immagine di quel ragazzo sbattuta in prima pagina. E dopo quel
pugno resti tramortito, perché quella storia ti resta dentro e attraverso
quella storia leggi la realtà in maniera diversa, più vera, più umana. Nelle contabilità
delle guerra, i morti nemici sono numeri, i morti amici invece hanno storie,
vite, relazioni… ecco, Flavia Perina racconta la storia, la vita, le relazioni
di uno di quei numeri.
Nessun commento:
Posta un commento